Tokyo: i primi due giorni
L’arrivo
Siamo arrivati a Tokyo Haneda sabato 21 Aprile alle 22:40 , dopo quasi 21 ore di viaggio (arghhh!). L’efficienza giapponese (grazie a Dio) si è subito fatta sentire: 40 minuti dopo l’atterraggio avevamo passato il security check, raccolto i bagagli, comprato i biglietti del Limousine bus e 35 minuti dopo eravamo lasciati a 5 minuti dal hotel a Shinjuku. A quella ora non c’era più il treno, che è molto comodo per raggiungere il centro.
Ovviamente non ancora abituati a tutta questa regolamentazione abbiamo subito creato un momento di grande stress al signore che scaricava i bagagli dall’autobus quando abbiamo deciso di scendere alla penultima fermata invece che all’ultima, che era quella che avevamo dichiarato all’entrata. Infatti, all’ingresso in autobus i bagagli vengono marcati con dei talloncini di colore diverso in base alla fermata di destinazione dichiarata. Quando l’addetto ai bagagli ha visto i talloncini blue alla fermata dove i talloncini dovevano essere gialli quasi gli veniva un malore… da notare che eravamo rimasti in quattro nell’autobus.
Il nostro hotel, Hotel Sunroute Plaza Shinjuku, era vicinissimo alla stazione JR Shinjuku. La stanza nonostante si trattasse di un hotel a 4 stelle era minuscola e dire minimale è poco. La cosa più scioccante è che non c’era nemmeno un armadio, ma nel corso del viaggio ho capito che l’armadio è un extra negli hotel giapponesi!
Giorno 1
Il primo giorno decidiamo di esplorare Shinjuku a piedi anche perché ci siamo svegliati alle 11:00 di mattina, alla faccia del jet lag!
Tokyo è una città fantastica dal punto di vista dell’architettura con palazzi dalle forme moderne e audaci, strade larghe che invitano alla passeggiata fuori delle ore di punta.
Dopo la colazione alla Boul’ange, una pasticceria carinissima proprio davanti alla stazione, con una enorme varietà di pasticcini, pane, croissants ecc. ci avviamo verso Tokyo Metropolitan Government Building dal quale se può avere una vista a 360 gradi di Tokyo da un’altezza di 202 metri e non si paga l’ingresso. Ci facciamo un’idea della dimensione della città. Ci sono 2 osservatori e sono aperti dalle 9:30 alle 23:00 (ultima entrata alle 22:30).

Camminiamo verso Kabuchi-cho, uno dei quartieri della vitta notturna di Tokyo. Di giorno non rende l’idea di essere un red-light district a meno che non guardiate con attenzione le immagini (e le insegne, se capite il giapponese) dei locali. Ci sono comunque tantissimi negozi, bars e ristoranti non “red” e di giorno è pieno di famiglie e giovani che passeggiano. C’è Godzilla, c’è il robot restaurant che è una pura attrazione per turisti, c’è un cat caffe, innumerevoli sale giochi con quelle macchinete da pesca-regalo che loro amano ed è una zona piena di vita. Di notte c’è un altro tipo di fauna e le luci danno tutta un’altra aura ma non è pericoloso.

Torniamo verso Omoide Yokocho è un vicolo stretto stretto pieno di minuscoli ristoranti che servono yakatori (spiedini di pollo) ed altre specialità , vicino alla West Gate della Shinjuku Station.

Scegliamo senza alcun criterio tranne che “ci piace” uno di questi ristorantini, facciamo alzare tutto il ristorante perché è largo 3 metri e 2 di questi sono occupati dalla cucina e gli unici 2 posti erano ovviamente in fondo. Mangiamo il nostro primo pasto veramente giapponese: yakatori vari.


Una delle cose che mi ha dato un po’ di fastidio durante tutto il viaggio è che sia ancora abbastanza comune che si fumi nei ristoranti. Ormai in Europa non siamo più abituati ed è veramente fastidioso mangiare con qualcuno accanto che fuma. Pazienza, ci arriveranno anche loro a capirlo un giorno.
Rientriamo in hotel, sempre a piedi, perdendoci nelle vie di Shinjuku.

E scopriamo un nuovo e sorprendente fatto sul Giappone: trovare un cestino della spazzatura è come fare una caccia al tesoro ed è più probabile trovare il tesoro. Quindi o ci si porta la spazzatura a casa o si trova una konbini (convenience store) tipo Seven Eleven o Family Mart dove solitamente hanno dei cestini fuori o dentro il negozio. E una volta trovati i cestini attenti alla separazione corretta, è una cosa presa molto seriamente. Ma funziona, le strade sono pulitissime.
Chiediamo in hotel che ci prenotino il ristorante per cena e ovviamente c’è tutta una procedura da seguire. Dopo dieci minuti di “hai hai hai” (si si si) al telefono e le solite domande (orario, fumatori, non fumatori ecc.) ci preparano un form che ci fanno firmare e ci raccomandano insistentemente di non arrivare in ritardo. Scena che si è ripetuta in tutti gli hotel dove siamo stati in Giappone.
La nostra prima cena a Tokyo è stata il shabu-shabu, al Nabe-zo (Shinjuku-Sanchome). Il shabu-shabu è il hot pot giaponese e consiste nel cucinare in una pentola aperta (nabe), in un brodo o zuppa, fette sottilissime di carne di manzo e verdure.
C’è tutto un rituale su come mangiare lo shabu-shabu, c’è anche il “manuale utente” nel tavolo ma la cosa migliore è chiedere senza paura ai camerieri. Avevamo anche un “translate advisor” con tanto di biglietto da visita, un ragazzo gentilissimo che ci ha spiegato quali verdure scegliere cosa cucinare prima e dopo e così via.
Un’esperienza da fare assolutamente.

Poiché eravamo nella vicinanza e per finire la notte in bellezza siamo andati a prendere un drink al quartiere Golden Gai, lontano dai neon di Sinjuku che di golden ha solo il nome.
Permetto che se non sapessi che Tokyo è una delle città più sicure al mondo non mi sarei mai sognata di fare una passeggiata in questo minuscolo e buio quartiere fatto di sei corte e strette stradine tempestato da più di 200 mini bars. Ma proprio mini, in alcuni ci stanno 4 persone incluso il barman!
Alcuni di questi bar sono chiusi ai turisti, altri chiedono una “fee” di entrata, in altri paghi quello che bevi (com’è normale). L’unico criterio per la scelta era che non avesse la “fee” e alla fine ci siamo decisi per l’Alley Nuts cafe (o qualcosa del genere).

In un ambiente così piccolo è impossibile non fare amicizia, alla fine della serata i clienti sono quasi un’allegra famiglia!
Giorno 2
Il primo giorno a Tokyo abbiamo esplorato la zona di Shinjuku, mentre il piano per il secondo giorno a Tokyo è il quartiere di Harajuku e Ometesando.
Iniziamo da Meiji Jingu, il più importante tempio Shintoista di Tokyo, dedicato all’imperatore Meiji e alla sua consorte l’imperatrice Shoken, paladini della crescita industriale e innovazione tecnologica del Giappone durante la era Meiji (1867 al 1912).

Questo santuario si trova nel mezzo di un vasto bosco con un parco enorme, quindi è una piccola oasi dentro la città. Per motivi religiosi o solo per fare una passeggiata in mezzo al verde, vale la pena la visita. Abbiamo dedicato circa un’ora e mezza.
Il santuario è a entrata libera, invece l’accesso ai giardini e al Treasure Museum (Homotsuden) è a pagamento (500 JPY). Il Treasure museum era chiuso per “earthquake-proof construction” e non era indicata la data di riapertura.
Vicino al Treasure museum si trova anche Shiseikan Budojo, un centro di addestramento per le arti marziali giapponesi o Budo (“the martial way”). Sono diverse le discipline del budo ma quelle più conosciute tra di noi sono: Karate, Aikido, Juijutsu, Judo, Kendo. Noi invece abbiamo assistito a una gara di Kyudo (tiro all’arco giapponese) che mi è sembrato difficilissimo, non c’è stato uno che abbia centrato il bersaglio! C’è tutto un rituale di preparazione, come del resto in qualsiasi cosa in Giappone, con movimenti lentissimi e una serie d’inchini alla giuria, interessante da vedere anche se devo confessare che mi sono bastati 10 minuti prima di iniziare ad annoiarmi.

Vicinissima al Tempio di Meiji si trova la Takeshita Dori, una stretta e corta via stracolma di gente, mecca del kawaii (la cultura della dolcezza, delle cose carine in modo infantile dalla quale Hello Kitty è la regina, per capirsi), di negozi kitsh, fast food, cafes, paradiso dei teenager. Un paradiso anche per i souvenirs più strambi e per lo shopping sfrenato nei 100 yen shops.
Sono diventata una grande fan dei 100 yen shop che sono un tipo di negozio discount con una vastissima offerta dal mangiare a prodotti casalinghi, elettronica, bellezza, insomma si trova di tutto e di più. Quindi via i pregiudizi, si fanno grandi affari in questi posti. Le mie favorite: Don Quijote (Donky per gli amici) e la Daiso (c’è una grande a Takeshita Dori).

Per pranzo l’idea era andare in un posticino li vicino (Harajuku Gyouzarou) a mangiare i “migliori gyoza” di Tokyo, su consiglio di un nostro amico. La prima difficoltà è stata trovarlo perché non c’è un’insegna in lingua a noi comprensibile. Abbiamo capito quale fosse dalla coda alla porta! 45 minuti di coda… non è per me, sarà per un’altra volta. Comunque in zona ci sono tanti altri posti carini, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Alla fine abbiamo deciso per dei panini alla aragosta molto (poco) giapponesi al Luke’s Lobster.
Rimanendo in tema shopping e con grande gioia del mio compagno di viaggio ci avviamo verso Ometesando Hills. Questo complesso è un centro commerciale di lusso ed è stato concepito dal famoso architetto giapponese Tadao Ando (lo stesso che negli ultimi 25 anni ha creato una serie di edifici che hanno reso famosa la piccola isola di Naoshima). Anche se non siete interessati allo shopping è dal punto di vista architettonico molto originale con un design minimalista ma sfarzoso.

Una passeggiata per Ometesando, la Champs-Elysee di Tokyo, fa benissimo agli occhi, un po’ meno al portafoglio. La shopaholic che abita in me era in estasi…
Da Ometesando prendiamo la metro fino a Shibuya anche se sono solo 13 minuti di camminata, ma eravamo già stremati da quanto già fatto in giornata. Quartiere famoso principalmente per il suo incrocio pedonale di cinque strade che dicono sia il più affollato al mondo. Sembra un po’ ridicolo che un incrocio pedonale sia diventato un’attrazione turistica ma è davvero impressionante quando tutti i semafori delle cinque vie diventano verdi e la gente si precipita sull’incrocio… centinaia di persone che attraversano in ogni direzione senza imbattersi l’una nell’altra.
Il punto migliore per fare delle foto è il secondo piano dello Starbucks, che ovviamente ha una coda gigantesca per entrare. Comunque il fenomeno si osserva benissimo anche dalla passarella della stazione di Shibuya. Però i vetri hanno appositamente delle reti quasi invisibili ma che non sono molto instagramabili. Io ho più allergia alle code che amore alle foto instagramabili e quindi la vista dalla stazione mi è bastata.

A Shibuya si trova anche la statua di Hachikō, il cane diventato famoso perché dopo la morte del suo padrone lo andò ad aspettare tutti i giorni, per 10 anni, alla stazione fino alla sua stessa morte.
Ho imparato tutto questo perché ogni volta che dicevo che sarei andata a Tokyo tutti mi parlavano di questo Hachikō che per me era un perfetto sconosciuto anche se è una stella di Hollywood con tanto di film con Richard Gere.
La statua è piccolina e non è sicuramente un capolavoro e ormai la vera attrazione è un gatto che dorme tra le gambe di Hachikō, ma ad ogni modo… viva Hachikō.

Per cena abbiamo appuntamento con i miei colleghi giapponesi che ci portano in gita per Ginza, il quartiere più posh di Tokyo, pieno di negozi di lusso, department stores, ristoranti, bars. Le luci della notte lo rendono ancora più glamour e alcune vetrine e palazzi sono delle vere opere d’arte.
A Ginza si trova anche il teatro Kabukiza, famoso per il kabuki, il teatro tradizionale giapponese con radici nel periodo Edo, riconosciuto anche come patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. E’ una delle forme di teatro classico giapponese con attori in costumi e trucchi elaborati dove la mimica è particolarmente importante perché durante la recita viene usato un giapponese antico, difficile da capire anche dagli stessi giapponesi.
Gli spettacoli possono essere molto lunghi ma al Kabukiza si possono comprare biglietti per single-act (cerca 30 minuti) direttamente al teatro (c’è una biglietteria apposita a sinistra dell’entrata). Se non avessimo già prenotato il ristorante (e non si può assolutamente arrivare in ritardo) forse ci sarei andata, anche se i miei colleghi giapponesi non mi sono sembrati particolarmente entusiasti… sarà come l’opera, o la ami o la odi.
Per cena siamo andati al Shiokara, un piccolo ristorante tradizionale giapponese nascosto nel seminterrato di un palazzo, nel centro di Ginza. L’interno del ristorante consiste in un bancone di bar e quattro mini stanze private dove siedono da 4 a 6 persone.
Il nome del ristorante indica senz’ombra di dubbio, cosa si mangerà: shiokara.
Shiokara è un cosiddetto chinmi (gusto raro, delicacy) della cucina giapponese tipica giapponese, servito generalmente in piccole porzioni e consiste, in sostanza, in calamari fermentati nelle loro stesse viscere con 10% di sale ed altri ingredienti, quali wasabi, shichimi (pepperoncino) ecc.! Lo so, sembra immangiabile.
Senz’altro ha aiutato tanto non aver avuto la più pallida idea dove ci avessero portati e non aver capito esattamente cosa stavo mangiando (beata ignoranza) finché giorni dopo non l’ho googlelato per bene. Devo dire che i piatti erano buoni, qualcuno aveva davvero un sapore molto forte e salato ma c’erano anche altre più leggeri e molto saporiti.
Tutto accompagnato da sake e shochu. Forse anche questo aiuta…
Non di solo sake se si disseta il Giappone. Il Shochu è un distillato di orzo, patata dolce o riso più alcoolico del sake (circa 25%). Io li ho provati tutti (puramente a scopo scientifico) quello di riso forse è quello che mi è piaciuto di più. Ho imparato che la differenza tra il sake e lo shochu è che anche se entrambi hanno come base il riso il sake è fermentato mentre il shochu è distillato .
Domani si parte per Kyoto, ma non abbiamo ancora finito con Tokyo, torneremo a questa fantastica città alla fine del nostro viaggio.
Dove ho dormito
Nei primi 2 giorni a Tokyo ci siamo alloggiati al Hotel Sunroute Plaza Shinjuku. La posizione era ottima, vicinissima alla stazione di Shinjuku ma la stanza era molto minimale nonostante fosse un hotel di 4 stelle. Lo consiglierei principalmente per la posizione.
Dove ho mangiato
- Boul’ange – pasticceria davanti alla stazione di Shinjuku (Shinjuku Southern Terrace), molto carina e con tante cose buone. Ottima per collazione.
- Omoide Yokocho – non so precisare in quale ristorante ho mangiato ma ci sono tantissimi, scegliete quello che vi inspira di più.
- Nabe-zo – ristorante di shabu-shabu a Shinjuku. E’ in un terzo piano di un palazzo, non si vede dalla strada ma il navigatore vi porta dritti.
- Luke’s Lobster – in Ometesando, panini con l’aragosta o gamberetti, se avete voglia di qualcosa di veloce senza fare code troppo lunghe. Nella stessa via c’è il Harajuku Gyouzarou, ristorante di gyoza consigliato da un amico ma con una coda troppo lunga.
- Shiokara – ristorante specializzato in shiokara, a Ginza.
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